IL PICCOLO CHEUNG

 

Siamo nel 1997, a Hong Kong, poco prima della riunificazione con la Cina. Il piccolo Cheung ha nove anni e vive in un quartiere movimentato della città. I suoi genitori lavorano continuamente nel loro ristorante, così Cheung si affeziona soprattutto alla nonna, mentre diventa amico di Fan, una bambina della sua età, immigrata clandestina dalla Cina. I due vivono straordinarie avventure, finchè Cheung, contravvenendo agli ordini del padre, non intraprende la ricerca del fratello maggiore, diventato gangster e, per questo, rinnegato dalla famiglia.

 

Il seguente video non fa parte del sito www.cinemazoo.it,
ma è solamente incorporato e presente su un’altra piattaforma

 

 

Titolo originale: Xilu xiang
Anno: 2000 I Paese: Hong Kong
Regia: Fruit Chan
Attori: Yuet-Ming YiuWai-Fan MakYuet-Man Mak
 

 

Il Piccolo Cheung – battezzato così in onore di un vecchio attore e cantante dell’opera cantonese, che tutti nel quartiere chiamano colloquialmente “Fratello Cheung” – trascorre le giornate della piovosa estate del 1997 correndo con la sua bici per i vicoli della città vecchia ed effettuando consegne per conto del ristorante di famiglia. Mentre il padre gestisce il locale e la madre gioca a mahjong, la nonna resta a casa, accudita da una badante filippina, immersa nei suoi ricordi e nei vecchi film che passano in televisione. Il terzo film di Fruit Chan sul passaggio di Hong Kong dalla Gran Bretagna alla Cina (dopo “Made in Hong Kong” e “The longest summer”) racconta gli eventi e l’atmosfera di quei giorni attraverso gli occhi (e il microcosmo) di un bambino di nove anni. La vecchia colonia britannica, con il suo passato e la sua cultura (simboleggiata dalla nonna, che in gioventù fu cantante e attrice proprio al fianco di Fratello Cheung), è destinata a sparire con l’imminente handover, mentre alle nuove generazioni viene insegnato il mandarino e a fare l’alzabandiera salutando in maniera corretta il vessillo della Repubblica Popolare Cinese. Priva di una vera trama, la pellicola accosta con sensibilità molte situazioni ed episodi: le scorribande inarrestabili del piccolo protagonista per le strade del quartiere di Mongkok; il suo curioso approccio alle dinamiche e al sistema di valori dei “grandi” (dominato dalla ricerca del denaro); i giochi e gli scherzi (come fare la pipì nel thé che deve consegnare al delinquente locale); il desiderio di racimolare la mance necessarie per comprarsi un “tamagochi”; le severe punizioni del padre; la ricerca di un fratello maggiore che non sapeva di avere e che il padre ha ripudiato perché ha scelto di diventare un gangster; l’affetto per Armi, la domestica filippina, indice di un’apertura verso le culture diverse; e soprattutto l’amicizia con la coetanea Fan, immigrata clandestina dalla Cina continentale, da cui si fa aiutare nel lavoro (dividendo con lei le mance) e la cui deportazione da parte della polizia – proprio a poche ore dal fatidico cambio di bandiera – segnerà ufficialmente la fine dell’infanzia (del bambino come dell’intera Hong Kong). Come capita spesso nei film di questo regista, quasi tutti gli interpreti sono attori non professionisti. Il titolo originale è lo stesso di un film del 1950 che vedeva Bruce Lee (a soli 10 anni) in uno dei suoi primi ruoli da protagonista.

Recensione da tomobiki.blogspot.com