KILLER NELLE NOTTI DI PIOGGIA

 

Vagando all’infinito tra pura incoerenza e una tragedia piena di possibilità drammatiche, Lau Kwok-Hung racconta il mistero dell’omicidio di un assassino che colpisce durante le notti piovose.

 

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Titolo originale: Yu ye sha shou
Anno: 1974 I Paese: Taiwan
Regia: Kuo-Hsiung Liu
Attori: Yu An ChangShih Wei ChenTsing Chu

 

 

Dovrebbe essere un thriller, di quelli dove ci sono un serial killer da individuare, un clima cupo, una spruzzata di sesso, qualche ricercatezza formale… Ma la verità è che quello che ci troviamo di fronte è uno sgangherato ibrido in cui oltretutto si caccian dentro a caso interminabili corpo a corpo con gente che si bastona in ogni modo infischiandosene di vanificare miseramente ogni tentativo di creare quel minimo di suspense richiesta dal genere. Dopo un prologo la cui utilità sfugge, in cui una donna si ritrova interrogata da un ispettore che le spiega come l’omicidio del fidanzato non sia certo il primo attribuibile alla stessa mano, si passa alla descrizione della protagonista, una popputa giovane tornata da poco dall’America dove deve esser successo qualcosa che l’ha sconvolta. Non si capisce ancora bene se a causa della trasferta, infatti, la ragazza si comporta come una mezza ninfomane. L’unico con cui non si accoppia è un insegnante il quale, nonostante abbia paura del gatto di casa (dal quale fugge spaventato), si rivelerà essere un asso delle arti marziali pronto a difenderla quando salteran fuori alcuni banditi dal calcio facile che di tanto in tanto fan la loro comparsa giusto per ricordarci che il film è asiatico. Il regista indugia sugli amplessi della donna suggerendoci ampiamente quale possa essere la sua funzione nella storia e si andrà avanti così a lungo, con una serie di omicidi collegabili in qualche modo alla presenza della protagonista in attesa che qualcuno ci spieghi cosa mai ci sia dietro alla catena di delitti e magari perché si verifichino sotto la pioggia. Curiosa la colonna sonora, che piazza ovunque “Come In Number 51, Your Time Is Up” dei Pink Floyd (cioè la versione di “Careful With That Axe, Eugene” utilizzata da Antonioni per ZABRISKIE POINT) nel disperato tentativo di far artificiosamente salire un briciolo di tensione. Tensione purtroppo ai limiti dell’inesistente e che s’infrange definitivamente contro un flashback ridicolo in cui è prevista una terribile umiliazione della povera vittima previo lancio di pasticcini… Inutile dire che i dialoghi sono quanto di più basico e banale si possa immaginare, semplice supporto alle frustrate velleità del regista, impegnato a dare almeno una parvenza di stile alle inquadrature attraverso cui costruire le scene chiave. Il tutto in attesa della lunga spiegazione finale, in cui ci viene se non altro chiarito il movente dei delitti. Anonime le performance del cast, nulli gli effetti speciali o le coreografie di morte. Le nostre peggiori clonazioni di Argento, al confronto, ci fanno un figurone!


MARCEL M.J. DAVINOTTI JR.