NAKED CITY [sub ITA]

 

Una ragazzina del liceo annoiata trascorre le sue giornate riprendendo la vita quotidiana della sua città con una telecamera a spalla. Incidentalmente si imbatte in uno stupro che riesce a registrare su nastro. Da quel momento la ragazza è affascinata da quello che si può provare durante uno stupro e intraprende una strada che facilmente si può intuire dove la porterà.

 

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Titolo originale: Seifuku nusumi-dori-ma: Gekisha naburu
Anno: 1990 I Paese: Giappone
Regia: Hisayasu Satô
Attori: , ,
 

 

Per chi non conosce il cinema di Hisayasu Sato, quello che vi apprestate a vedere può apparire qualcosa di eccessivo, sopra le righe, addirittura intollerabile. Scene di stupri e incesti sono fondamentalmente il leit motiv di questo film. Siete avvertiti e se non tollerate tali scene siete liberi di cambiare film. Per chi conosce invece il cinema di Sato e capisce che non si tratta di un regista pornografico a caso, ebbene questa recensione è per voi. Naked City non è altro che un tipico esempio di voyeurismo meta cinematografico dove il media (in questo caso telecamera a mano, vhs, videoregistratore e schermo televisivo) si fa strumento complice di un voyeurismo ardente, espressione massima del “voglio ma non posso” della mentalità giapponese. Dovete tenere presente infatti che la società giapponese da sempre è una società molto repressiva, dove le regole sono dogmi da non contestare, naturali come acqua e pane. Una società dove i rapporti umani sono freddi e calcolati, dove il toccare il corpo del prossimo è motivo di imbarazzo, ancora più che qui in Italia. Fondamentalmente nella società giapponese il rapporto sessuale “onorevole” o comunque legittimo è ancora quello tra moglie e marito, non che in generale gli uomini siano così poi spavaldi da provarci con le donne, anzi in generale vige una certa fobia del contatto ed un individualismo ermetico diffuso. Il virtuale e tutto ciò che avviene nella mente già negli anni ’80 avevano preso il sopravvento sul pratico, sulla materia e sul reale. A questo punto tutto ciò che avviene in video, essendo finto quindi legittimo, almeno soddisfa l’occhio e concede uno sfogo alla mente. Più c’è repressione della cane, più si crea nella mente un estremo bisogno di sfogarsi, anche raggiungendo vette estreme come stupro e incesto. Il film vuole comunicare che nessuno è salvo da questa logica ormai. La repressione coinvolge tutti a cominciare da una scolaretta, simbolo di innocenza, per coinvolgere anche una molto più smaliziata psicoterapeuta specializzata in traumi femminili. Troviamo tra l’altro qui una sottile critica alla psico terapia incapace di risolvere alcun problema, se non apparentemente. Hisayasu Sato si conferma con questo film un sublime indagatore della mente umana e di come essa, in uno slancio di richiesta di aiuto, possa navigare fino ad arrivare agli angoli più remoti, accettabili solo nella sfera personale, in un clima di ipocrisia generalizzato.

Scritto da Il Guardiano dello Zoo