S.F.W. – SO FUCKING WHAT?

 

Una sera il ragazzo viene sequestrato insieme all’amico Joe (Jack Noseworthy) e altre tre persone in un supermercato, dove vi rimane recluso per più di un mese. Durante la prigionia, i rapitori pretendono che gli ostaggi siano ripresi costantemente da telecamere, e che poi i video siano trasmessi in televisione.
Dopo trentasei giorni di prigionia, Cliff riesce ad uccidere gli aguzzini e a porre termine al sequestro, anche se l’amico Joe muore durante la colluttazione. Quando il ragazzo torna nel mondo normale, tutti lo acclamano come un eroe: la gente – che aveva ascoltato alla televisione le sue dissertazioni filosofiche sulla vita mentre erano prigioniero – lo vede come un idolo, qualcuno da imitare. Cliff però non ama essere circondato dalla fama e soprattutto soffre per la perdita di Joe.

 

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Titolo originale: S.F.W.
Anno: 1994 I Paese: U.S.A.
Regia: Jefery Levy
Attori: Stephen DorffReese WitherspoonJake Busey
 

 

So fucking what! In Italia l’hanno tradotto con “chi cazzo se ne frega”, in realtà è una frase jolly dai significati molteplici, che torna buona in ogni occasione. È la frase che Cliff Spab (un ottimo Stephen Dorff) fa sua e che diventa identificativa del personaggio. Tenuto in ostaggio assieme a due suoi coetanei da una gang di terroristi mediatici che obbliga la tv a trasmettere le immagini del rapimento in diretta e senza censure, Spab diventerà ben presto un autentico mito generazionale. Una volta liberatosi (dopo 36 giorni di prigionia in un magazzino e dopo aver visto uccidere uno dei due ostaggi) uscirà tra le celebrazioni di giornali e tv pronte a celebrarne il linguaggio diretto e il suo nuovo status di “eroe”. Non è la prima volta che il cinema racconta l’ascesa “da zero a mito” di un ragazzo qualsiasi, ma il regista e co-sceneggiatore Jefery Levy sa mantenere il suo film in un’aura quasi autoriale non disprezzabile, lontana dalle facili banalità in cui sarebbe potuto cadere. Dorff è un anti-eroe credibile; nonostante l’immenso successo acquisito (magliette con il suo nome, trasmissioni e speciali a lui dedicati, interviste…) conserva il suo stile di vita anarchico e strafottente acquisendo però una consapevolezza prima sconosciuta. Il film racconta il suo periodo post rapimento, il suo rapporto “a distanza” con l’altra superstite (Reese Witherspoon) come lui al centro dell’attenzione dei media, la gloria effimera pronta a scomparire in un attimo come nel finale-beffa, forse il momento più alto e significativo dell’intero film. Inevitabilmente ripetitivo

Recensione da Il Davinotti