LA CASETTA DEGLI ORRORI

Mitch Hansen e la sua fidanzata vengono uccisi da un incidente d’auto. Durante l’autopsia di Hansen, si sveglia e uccide i medici legali. Dieci anni dopo, un gruppo di amici fa un picnic vicino al manicomio dove si è tenuto il caso di Hansen. Una band punk sta usando il manicomio per praticare alcune canzoni. Tuttavia, Hansen abita ancora nel manicomio e progetta di inseguire qualsiasi intruso.

 

Il seguente video non fa parte del sito www.cinemazoo.it,
ma è solamente incorporato e presente su un’altra piattaforma.

 

 

Titolo originale: Doom Asylum
Anno: 1988 I Paese: U.S.A.
Regia: Richard Friedman
Attori: Ruth Collins, Patty Mullen, Kristin Davis
 

Anche quest’anno l’estate di Obsidian Mirror non poteva che includere un ennesimo contributo alle mitologiche Notti Horror blogghesche, che da otto anni a questa parte (praticamente un’eternità) infestano la rete, proponendo recensioni di film tamarri oltre ogni immaginazione. La formula di questa piccola rassegna itinerante, che quest’anno si spingerà fino a settembre, l’ho già raccontata più volte e non mi ripeterò. Tuttavia, a beneficio dei più giovani posso dire che si tratta di un omaggio alle altrettanto tamarre Notti Horror che noi vecchietti ci sciroppavamo sul piccolo schermo secoli fa, quando a malapena esistevano le tivù a colori.
Ogni anno la voglia di affrontare qualcosa di serio per un po’ sembra avere la meglio ma, tranne che in rare occasioni, alla fine prevale in me la tentazione di ravanare nel bidone della spazzatura e di vedere cosa salta fuori. E quest’anno credo di aver davvero ravanato parecchio, perché sono finito per inciampare in un film talmente ripugnante che, a posteriori, quasi mi pento di non avere impegnato il mio tempo in modo più saggio.
Il titolo italiano del film praticamente dice già tutto sulla qualità che ci possiamo aspettare da questo lungometraggio horror, e ciò è un clamoroso autogol, visto che Richard Friedman, che l’aveva originariamente battezzato “Doom Asylum”, aveva perlomeno concesso agli ignari spettatori il beneficio del dubbio (dubbio destinato però a dissolversi dopo solo pochi metri di pellicola, corrispondenti a circa 3 secondi di girato). 
Il titolatore italiano, ritenendo forse “Doom Asylum” troppo dozzinale (e in effetti ho il sospetto di aver visto almeno tre o quattro film con quello stesso titolo), decise invece di affidarsi alla collaudata formula che prevedeva il termine “casa” infilato dappertutto, formula supportata dal fatto che in quegli anni una “casa” nel titolo rappresentava una garanzia assoluta per il botteghino.
Il tutt’altro che scaltro titolatore, tuttavia, pensò che “casa” fosse troppo banale e, dopo averci ragionato su un pochino, optò per un originale diminutivo (o vezzeggiativo, decidete voi) che azzerò all’istante ogni potenziale del film. Tra l’altro, ma questa non è affatto una novità nel cinema horror, in “Doom Asylum” non c’è nessuna casa, né tantomeno una casetta di piccole dimensioni. Al limite ci sarebbe un “asylum” (un manicomio) che tecnicamente, a livello di metratura, dovrebbe essere ben più grande di qualsiasi nucleo abitativo privato.
Poco fa parlavo, un pochino precipitosamente, di “botteghino”, ma è ovvio che “La casetta degli orrori” il grande schermo non lo ha visto nemmeno col binocolo. Erano d’altra parte tempi in cui la massima aspirazione di un film di genere horror era quella di finire straigh-to-video, cosa tra l’altro per nulla scontata. Ma anche il mondo del noleggio negli anni Ottanta aveva la sua dignità, e sono certo che numerose “casette” di produzione misero da parte discreti gruzzoletti grazie a quel canale, visto che gli home video venivano apprezzati più per il loro valore di intrattenimento che per la loro qualità intrinseca. Noi adolescenti dell’epoca, che affollavamo i videonoleggi come Alice nel paese delle meraviglie, cercavamo essenzialmente nei film horror due elementi: killer mascherati e ragazze in bikini.
La casetta degli orrori” prometteva tutto questo già dalla copertina e, per quanto oggi se ne possa parlar male, bisogna ammettere che manteneva rigorosamente la parola. Intrattenimento ce n’è tanto, ma di quello bello ignorante: un horror-parodia di una stupidità totale, recitazione e dialoghi orrendi, effetti schifosi e una storia completamente senza senso. In altre parole, un vero classico da “Notte Horror”!
La trama è molto semplice: un gruppo di imbecilli in età da college decide di trascorrere una giornata rilassante prendendo il sole e gironzolando dentro, fuori e tutto intorno a un manicomio abbandonato che, guarda un po’ il caso, è anche il rifugio di un serial killer deforme e squilibrato.
Contemporaneamente, una band punk tutta al femminile sta provando i suoi pezzi in una delle sale operatorie dello stesso nosocomio. Quando lo scontro tra i nerd e le punk sembra ormai inevitabile, il maniaco mette tutti d’accordo e li fa a pezzi uno dopo l’altro.
Chi è il manico? Viene spiegato già nella prima scena. Il sipario si alza infatti sull’avvocato Mitch Hansen (mal interpretato da Michael Rogen) al volante della sua auto; la sua ragazza Judy (Patty Mullen) è seduta al suo fianco. Lo sviluppo è già prevedibilissimo: lui si distrae dalla guida (non è colpa sua, al cinema lo fanno tutti) e non si accorge di un altro veicolo in arrivo sparato dalla direzione opposta. Risultato: Mitch leggermente ferito e Judy morta.
Cambio di scena e siamo in un manicomio (sarebbe stato più logico un ospedale, ma non sottilizziamo troppo). Un medico legale e il suo assistente sono procinto di iniziare un’autopsia sul corpo di un Mitch orrendamente sfigurato, lo stesso Mitch che stava bene un minuto prima. La mente dello spettatore vacilla di fronte a questa voragine di sceneggiatura, ma pare vacillare anche quella di Mitch, che si solleva dal lettino autoptico e uccide subito brutalmente i due malcapitati operatori sanitari.
I successivi dieci anni non ci vengono illustrati, ma come spesso accade apprendiamo che il killer da quella struttura non se n’è mai andato, in evidente attesa dell’arrivo del gruppo di imbecilli già citato. Un arrivo evidentemente dettato dal destino, visto che una delle ragazze in bikini si rivelerà essere la figlia ormai ben cresciuta e pasciuta della coppia conosciuta sui titoli di testa: l’attrice che la interpreta è la stessa Patty Mullen di prima, una tipetta che a metà degli anni Ottanta aveva vissuto il suo quarto d’ora di celebrità con un’uscita piccante su Penthouse. Nel cast anche un’acerba Kristin Davis, che sarebbe divenuta poi celebre per il suo ruolo di Charlotte in Sex and the City. Il finale? Vabbè, uno dei peggiori nella storia del cinema. Bisogna guardarlo per crederci.
Diretto con una spaventosa mancanza di abilità da tale Richard Friedman, e scritto con una altrettanto spaventosa superficialità da Rick Marx (uno d’altra parte abituato a scrivere robe per il cinema hard), “La casetta degli orrori” resta tuttavia un ottimo esempio di come venivano realizzati gli horror negli anni Ottanta, film destinati a una visione distratta, accompagnata da pizza e coca cola, in compagnia di gente caciarona disposta a ridere fino a farsi schizzare cose dal naso.
Ci sono anche momenti di incomprensibile pausa da tutta questa caciara: una decina abbondante di minuti sono dedicati a mostrare il maniaco intento, nel poco tempo libero a disposizione tra un omicidio e l’altro, a guardare in televisione vecchi film di pubblico dominio con Tod Slaughter (il film incorpora appunto molti spezzoni di vecchi film in bianco e nero, tra cui l’immenso Sweeney Todd del 1936). Non c’è un vero significato contestuale in tutto ciò, nel senso che probabilmente qualcuno pensava che la cosa fosse interessante, ma senza troppa convinzione. È invece interessante, a posteriori, il fatto che le riprese furono effettuate presso un vero manicomio abbandonato (l’Essex County Sanatorium di Verona, nel New Jersey, oggi demolito). Un ambiente inquietante e dal grande potenziale, ma incomprensibilmente filmato sempre in pieno giorno. Se lo consiglio? Beh, mettiamola così: diciamo che è una curiosa testimonianza di un’epoca che non tornerà mai più. All’inizio di questo articolo l’ho definito spazzatura e non cambio idea, ma se lo infiliamo in una capsula del tempo e lo lasciamo lì per cinquanta o cento anni, qualcuno un giorno potrebbe trovarci qualcosa di buono e scriverci un post.
Due cose prima di congedarmi: “La casetta degli orrori” è pregna di elementi “zinefili” per cui, se ancora non siete stanchi, vi invito a correre sui blog Non Quel Marlowe e Il Citascacchi per nuovi entusiasmanti retroscena (ringrazio l’etrusco per il prezioso supporto: credo che mai questo film abbia avuto una visibilità come quella che sta avendo oggi). Secondo punto: il post di oggi è parte del progetto “Notte Horror 2021“, presentato qualche settimana fa qui. Hanno partecipato sino ad ora nove blogger (incluso il sottoscritto) e altri undici seguiranno. Per l’elenco completo fate riferimento al programma pubblicato nella colonna di destra. Prima di coricarvi stasera ricordate che il prossimo appuntamento è previsto oggi stesso in seconda serata su Solaris.
Detto questo, “The Obsidian Mirror” va in vacanza qualche settimana. Riapriremo le serrande a settembre. Buone vacanze a tutti! A presto!

Recensione da insidetheobsidianmirror