A.K.A. SERIAL KILLER [sub ITA]

 

Sul finire degli anni Sessanta, un diciannovenne, Norio Nagayama, viene arrestato per aver commesso quattro omicidi in altrettante città. Dopo la cattura del ragazzo si scava nel suo passato per cercare di capire come mai sia diventato un serial killer.

 

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Titolo originale: Ryakushô: renzoku shasatsuma
Anno: 1969 I Paese: Giappone
Regia: Masao Adachi
Attori: ?
 

Masao Adachi è probabilmente il regista più borderline mai comparso sulla faccia della terra. Il più outsider, militante e controverso del cinema giapponese e non. L’importanza artistica, politica e sociale del suo cinema è immensa, ma nonostante questo l’operato di Adachi è, oggi, sconosciuto ai più. Scomparso dall’immaginario nipponico basato su autori che, in confronto ad Adachi diventano pop (pensiamo a Nagisa Oshima), più per l’attitudine del regista che per l’effettiva difficoltà di fruizione dei suoi film.
Un autore tanto politicamente impegnato e rivoluzionario da essere esiliato dal suo stesso paese, costretto ad anni di inattività artistica che, tuttavia, non l’ha scalfito. Ma è dell’Adachi-regista che mi interesserebbe parlare.

Un autore emerso dal territorio del pinku-eiga, più affine a quello di Wakamatsu (di cui è anche sceneggiatore) che a quello di Takashi Ishii per intenderci. Un cinema a luci rosa che sfruttava (negli anni ’60) l’elemento softcore per raccontare tematiche scottanti di matrice socio-politica. Adachi ha basato la sua poetica sullo studio del disagio giovanile: dalla riflessione malatissima sul dubbio dell’abortire o meno di alcune adolescenti troppo precipitose nel body-horror “Abortion” (1966) alla ricerca di una sessualità perversa che conduce all’auto-annientamento in “Gushing Prayer” (Preghiera Eiaculante) del 1971.
Un cinema autonomo e personalissimo, capace di aprire grandi riflessioni e di riuscire a rimanere impresso una volta che ci si imbatte.

C’è anche un’altra porzione della carriera di Adachi, in verità: oltre ad essere uno sceneggiatore e regista di “film rosa”, infatti, è anche documentarista. Al centro delle sue indagini, di nuovo i giovani. I giovani alienati da un mondo rigido e freddo come quello giapponese, spinti a trasgredire e ad annegare i propri impulsi nella disperazione del sesso violento o nell’omicidio.
L’esperimento più interessante in questa prospettiva è, sicuramente, lo storico “A.k.a. Serial Killer” (1969). Un film seminale, immancabile nella collezione di ogni cinefilo che si rispetti o di chi ama particolarmente il genere documentaristico.

Il regista giapponese riprende un fatto di cronaca: Quattro persone sono state uccise. L’arma del delitto è la stessa pistola. Dopo disperate indagini, si è arrivati finalmente al colpevole: un giovane che vive nella miseria, disperato, e vittima di una società repressiva. Il movente: nessuno.

“A.k.a. Serial Killer” ripercorre l’ennesima storia di disillusione giovanile adachiana rifiutando le regole del documentario classico: rifiuto di interviste, testimonianze, materiale d’archivio, fotografia, commento fuori campo, riferimenti biografici approfonditi…
Le poche informazioni ci vengono date ogni cinque minuti e sono scarne, minimali, spesso vaghe sugli omicidi e la vita del ragazzo. Come se la mera informazione e il dato statistico fossero incapaci di tracciare a livello emotivo la rabbia del giovane e il terrore della vittima.
Adachi compie una scelta estrema: il miglior modo per parlare di una storia del genere è ripercorrere, con il cinema, i luoghi in cui il ragazzo ha vissuto e ucciso. Il paesaggio viene visto come l’unico testimone oculare possibile da ritrarre.
Quindi, luoghi. Luoghi vuoti, spogli, privi di vita e decadenti, percorsi cronologicamente dalla nascita del ragazzo al suo arresto. Luoghi immersi in un lancinante silenzio diegetico, dove l’unico sfogo (extradiegetico) è dato dall’eccellente colonna sonora free-jazz (“Isolation” di Masahiko Togachi e Mototeru Tagachi).

Dialoghi non ce ne sono: non ci è dato conoscere.
Ci è permesso solo sentire il disagio di un mondo disumanizzato.

Un documentario straordinario che, ancora oggi, conserva tutta la sua carica e la sua forza cinematografica. L’ennesimo grande tassello di una straordinaria e oscura filmografia tutta da scoprire.

inchiodo tra due voti: 2 e 9

Recensione da Debaser