GIMME SHELTER [sub ITA]

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Seguiamo le vicissitudini di una famiglia che, all’esterno, può sembrare felice, serena e unita, ma che in realtà si rivela ben altro: il padre di famiglia è gay e paga i ragazzi giovani per spingerli alla prostituzione, la madre si eccita guardando dei corsi di aerobica, la figlia vergine si innamora della sua professoressa e il figlio è un hikikomori con seri problemi psicologici. Tutti, uno dopo l’altro, iniziano a morire, chi per fato e chi per scelta…

 

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Titolo originale: Atsu Hada
Anno: 1986 I Paese: Giappone
Regia: Hisayasu Satô
Attori: Mamiko HiboshiRan MinagamiTaketoshi Watari
conosciuto anche come Exciting Eros: Hot Skin
 

 

“Gimme Shelter” rientra tra i primissimi film di Hisayasu Sato, quelli più estremi, nichilisti e schizofrenici, ma già colonne portanti della filosofia del suo autore. Qui, come in molti altri film del regista, l’occhio rimane puntato verso la famiglia.

Disgregata, infelice, bugiarda sulle proprie emozioni. Le famiglie di Sato nascondono sempre segreti individuali che portano alla distruzione (allontanamento, morte, incesto…). Al contrario di “Uniform Virgin” dello stesso anno, “Gimme Shelter” si concentra maggiormente sulla struttura della trama e sui suoi personaggi, sviluppandoli con partecipazione, piglio grottesco-comico e con un filo di compassione.

Sebbene tutta la famiglia sia presentata con rigore meccanico, equilibrio e con il gusto dell’estremo tipico di Sato, la vera protagonista è sicuramente la figlia: già dalle prime inquadrature è il motore dell’azione. Nonostante ancora non sappiamo nulla delle perversioni familiari, vediamo il padre e la madre festeggiare il suo compleanno con allegria, mentre lei li ignora con aria malinconica. è attraverso il suo comportamento passivo, apatico e fuori dal mondo che capiamo che c’è qualcosa che non va.

Non solo: la figlia è l’unica persona “pura” della famiglia. Ancora vergine, innamorata e sensibile, si concede la prima volta con la sua prof che l’ha provocata: ciò che l’ha spinta non è attrazione, è vero amore. E come spesso accade nei film di Sato, chi è puro, semplice, dolce, non può che scontrarsi con le difficoltà della vita: la professoressa è una sadica ossessionata dal sesso e non in grado di esprimere sentimenti. Dopo il rapporto sessuale, la nostra protagonista viene posta davanti al rifiuto, che non è tanto un “non può funzionare”, ma una vera e propria umiliante derisione. La figlia è il catalizzatore dell’odio per i membri familiari: in un suo delirio immagina i genitori impersonati da dei pupazzi. Armata di motosega, inizia a ridurli a brandelli e, completato il lavoro si inchina davanti alla cinepresa.

Gli attori sono veramente pessimi, ma la regia di Sato sostiene tutto, rendendo “Gimme Shelter” un film folle, straziante ed eclettico: cambia radicalmente dal comico più grottesco e anni ’80 (il padre che corre al lavoro con mimiche facciali di terrore degne di Laura Dern con in sottofondo una musichetta che lo intima a non far tardi al lavoro) all’horror (la già accennata scena della motosega) al trash (il corpo del padre che viene lanciato e sostituito da un pupazzo DI PEZZA) alla tragedia greca (la straniante successione di morti e il malinconico, disperato finale).

Com’è difficile descrivere ed etichettare ogni film di Sato, così è complesso farlo anche con “Gimme Shelter” che, al contrario del monocorde seppur dolente e malsano “Uniform Virgin” dello stesso anno, si rivela un film veramente ottimo, capace di coinvolgere, divertire e disturbare con uno schiocco di dita.
Peculiarità di questo film, come in tutti i primi film di Sato, è la presenza ossessiva di lunghissime e lentissime scene di sesso imposte dalla casa di produzione che voleva più tette e meno filosofia. Sato, però, ancora una volta, riesce ad incastrarle perfettamente e la sospensione dei tempi su questi corpi che si studiano senza amore rende ancora di più il ritratto di contatti impossibili tra gli esseri umani.

La qualità video è pessima. Non è tanto un problema del film, quanto per il fatto che l’unica versione in circolo è una conversione digitale della vhs. Per una volta, però, questo non è affatto un problema: il low-fi rende ancora più malsano e desolante il ritratto spietato che Sato tratteggia per la società malata.

Insomma, il film non è al livello di capolavori assoluti come l’imprescindibile “Muscle” o il classico “Naked Blood”, ma è sicuramente riuscitissimo. Buona visione!

Recensione da Asianworld.it