VUOTO MENTALE

Un poliziotto di Montreal è perseguitato da continui problemi sul lavoro: intorno a lui vengono compiuti misteriosi omicidi, mentre strani flash mentali fanno riemergere dai suoi ricordi un personaggio legato alla Cia. Non solo. Qualcosa collega il nostro eroe addirittura a uno dei maggiori casi degli ultimi trent’anni: l’omicidio di John Kennedy…

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Titolo originale: Mindfield
Anno: 1989 I Paese: U.S.A.
Regia: Jean-Claude Lord
Attori:  Michael IronsideLisa LangloisChristopher Plummer 
 

Per un pelo riesco a festeggiare un anniversario che rischiava di sfuggirmi dalle mani: nel novembre 1989 usciva in patria un piccolo film canadese, Mindfield, forse troppo ambizioso rispetto al materiale sotto mano, ma che sceglie di avere per protagonista il mito dei miti.

La prima apparizione in TV risale a sabato 11 gennaio 1992 su Rai2, che lo trasmette in prima serata: dopo una replica su Rai3, nella prima serata del 30 aprile 1993, il film scompare nel nulla.

Dopo quindici anni di avvocatura, il canadese William Deverell nel 1979 pubblica il suo primo romanzo e da allora cambia vita: basta legge, ora solo letteratura.
Negli ultimi vent’anni l’autore si è specializzato nelle avventure di Arthur Beauchamp, avvocato della mala, ma all’epoca studiava altre tematiche: come per esempio le zozzerie che la CIA faceva in giro per il mondo, in un periodo di fortissima contestazione e sdegno per l’operato dell’agenzia.

A dieci anni dal suo esordio letterario, Deverell pubblica Mindfield (1989), inedito in Italia come tutta la sua opera (ad esclusione del suo romanzo d’esordio). Lo stesso Deverell adatta il proprio libro per il cinema… Mmmm no, mi sa che non è andata così.
Il copyright del romanzo stampato dalla newyorkese Latham risale al settembre 1989 mentre il film esce in patria canadese nel novembre successivo: due mesi mi sembrano un po’ pochini per trarre una pellicola da una romanzo. Infatti la Allegro Film Productions deposita la sceneggiatura di Deverell già nel 1988, con i titoli alternativi di Flashback e Option to Kill.
Quindi, com’è usanza non certo rara, Deverell ha scritto una sceneggiatura che, in attesa dell’uscita del relativo film e come traino pubblicitario, è stata anche trasformata in romanzo, cioè una novelization.

La storia si apre con una notizia riportata dal “New York Times” il 2 agosto 1977, il cui succo è che si è scoperto come la CIA stesse studiando il modo di cancellare i ricordi dalla mente umana, così da interrogare gli agenti nemici senza che poi questi lo ricordassero. «Oltre a tutto ciò che rende attraente l’amnesia, volevano essere in grado di compiere omicidi senza lasciare tracce».
Oggi i complotti e i dietrologismi che coinvolgono la CIA sono così tanti e stratificati da aver fatto il giro, ed essere considerati tutte fantasie (che sia una geniale tattica dell’agenzia?) ma sul finire dei Settanta e per tutti gli anni Ottanta le “zozzerie” della CIA facevano ancora scalpore e denunciarle era materiale da thriller di successo. Così quando vediamo la giovane e grintosa avvocatessa Paradis (Lisa Langlois) darsi da fare in tribunale perché cavilli burocratici (probabilmente pilotati ad arte) stanno per far rilasciare uno strano dottore, siamo tutti dalla sua parte e già sappiamo che quel dottore non è innocente come vuole sembrare.
Figuriamoci poi se ha i capelli inguardabili di Christopher Plummer e si chiama Satorius… Il personaggio è giusto una comparsata nella vicenda, ma mi piace ricordare che storicamente gli scienziati pazzi e i dottori sadici hanno un cognome che finisce in -us.

Deverell ha tanta voglia di raccontare che finisce per inondare la storia di elementi che non fanno altro che strozzarla. Così il processo a Satorius non si sa che senso abbia, visto che scompare per non tornare più, ma intanto ci parla dello sciopero della polizia, della mafia italiana che imperversa a Montréal con cognomi altamente improbabili, di servizi segreti deviati, di agenti della CIA assassini, di avvocati della mala, di corruzione, di fame nel mondo e il problema della nascita della vita nell’universo. Oh, Deverell, anche meno, eh?
In questo minestrone annacquato dove si può trovare ogni singolo elemento di un certo interesse all’epoca, c’è per fortuna un solo protagonista a tenere insieme l’intero film: ogni fotogramma della pellicola prende la lodevole decisione di essere impressionato dal volto di Michael Ironside.

L’attore di Toronto si carica sulle spalle l’intero peso di una storia che definire claudicante è un complimento: la voglia di Deverell di fare il thrillerone dell’anno ha come effetto quello che sembra una parodia del genere spy story, ma per fortuna Ironside salva la situazione.
Il regista Jean-Claude Lord ha già diretto l’attore in Delitto al Central Hospital (1982) – che devo recensire da almeno un mese ma passa sempre in secondo piano! – quindi i due si conoscono e ipotizzo un certo affiatamento. Lord ha capito benissimo che il volto di Ironside basta da solo a vendere il biglietto e sa che l’attore ha un carisma che oscura ogni altro comprimario abbia la sfortuna di stargli accanto. Nessuno può mettere Ironside in un angolo, quindi tanto vale renderlo re della pellicola.
Per dovere di cronaca riporto il trivia di IMDb secondo cui invece l’attore si sarebbe trovato malissimo con il regista, tanto da volerne il licenziamento: come tutte le info del sito, anche questa è senza fonte quindi inattendibile.

Il nostro Ironside entra in scena parecchio stropicciato, sembra uno sbandato che vaga senza meta, poi scopriamo che ha appena divorziato e da anni va da una psicologa – palesemente senza alcun successo – e quando stiamo per considerarlo una mina vagante… tira fuori il distintivo: è lo stimato tenente Kellen O’Reilly della polizia di Montréal. Riuscirà a fare bene il suo lavoro, che sembra fuori di testa? Mentre si dipana la storia della sua caccia alla mafia, agli avvocati corrotti, allo sciopero della polizia e a mille altri inutili fili narrativi buttati nel vuoto, ciò che conta è che O’Reilly ha delle dolorose visioni: vede se stesso subire un elettroshock dal perfido Satorius e vede se stesso sparare ad uno specchio.
Cosa significa? Sono allucinazioni o ricordi? Ben presto scopriamo che O’Reilly da giovane ha fatto parte degli esperimenti poco etici di Satorius, fallendo il test finale: il dottore non è infatti riuscito a debellare ogni germe di ribellione nella psiche di O’Reilly, ecco perché probabilmente la cancellazione della memoria non ha funzionato completamente, con lui. Devo essere onesto, non è proprio chiarissimo il Progetto 47, perché nella voglia di fare il “filmone spione” l’autore ha fatto così tanti giri su se stesso che si è perso. Sembra di capire che la CIA voleva creare l’assassino perfetto, quello che uccide e poi dimentica: ma questo già l’ha detto l’anno precedente Una pallottola spuntata (1988), parodiando più che chiaramente Telefon (1977). Con la differenza che questi due titoli sono ottimi, Vuoto mentale è solo un pastrocchio confusionario.
Satorius però millanta scopi umanitari, perché dimenticare la sofferenza fa vivere meglio così come toglie di mezzo ogni senso di colpa dovuto agli atti commessi per conto della CIA, ma non è chiaro se stia mentendo o creda davvero in quel che dice, visto che è un personaggio a malapena accennato. Di sicuro scopriamo che insieme a O’Reilly c’era un altro tizio a cui la CIA stava cercando di cancellare la memoria: un tizio di nome… Lee Harvey Oswald!

Il segreto di una buona narrazione è l’equilibrio, qui invece un ardente Deverell prende materiale per dieci romanzi e fonde tutto in una storia che nel cercare di andare dappertutto non va da nessuna parte: se non fosse per un titanico Ironside in stato di grazia, capace con il suo solo volto di rendere alla perfezione un personaggio che scopre come tutta la sua vita sia una menzogna, questo film non meriterebbe alcuna menzione.

Lo stesso auguro buon anniversario a Vuoto mentale: ogni film che ci regali un’overdose di Michael Ironside è un buon film.

Recensione da il Zinefilo