TOKYO DRIFTER [sub ITA]

 

Tetsu “La Fenice” (Tetsuya Watari) è un’ indomabile forza nella natura, la sua scaltrezza è pari alla sua fedeltà verso il suo “padre” putativo. Il ragazzo però finisce immischiato in una losca truffa immobiliare messa in atto da una gang di malviventi, che si ostina a perseguitare lui e suo “padre”, nonostante entrambi abbiano dichiarato pubblicamente il loro ritiro dalla yakuza.

 

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Titolo originale: Tôkyô nagaremono
Anno: 1966 I Paese: Giappone
Regia: Seijun Suzuki
Attori: Tetsuya WatariChieko MatsubaraHideaki Nitani
 

 

 

Giunto ormai a un passo dalla rottura con la Nikkatsu, Seijun Suzuki prosegue nel suo personale percorso di sperimentazione all’interno dei generi e, ribaltando a suo favore la punitiva riduzione del budget a disposizione, porta a definitivo compimento il processo di destrutturazione dello yakuza-eiga (i film sulla mafia giapponese) iniziato tre anni prima con La giovinezza di una belva umana (1963). In questo senso la blanda sceneggiatura di Kōhan Kawauchi – un dozzinale intreccio gangsteristico a base di azione, amicizia e tradimenti – si presta perfettamente al gioco del regista che, muovendosi in un territorio codificato e ben familiare al suo pubblico, accentua fino al parossismo gli stereotipi del genere e imbastisce con abilità una pellicola in bilico fra l’elegia e la parodia. Si sviluppa così, sulle note di una malinconica canzone interpretata dallo stesso Tetsuya Watari, un racconto frammentato ed ellittico, che mescola i generi più disparati (dal noir al melodramma, passando per il western e il musical) e procede tortuosamente fra improvvisi scoppi di violenza, struggenti sospensioni narrative e repentini cambi di direzione. Facendo dell’antinaturalismo la sua bandiera, Suzuki allestisce una messa in scena kitsch e psichedelica destinata a influenzare numerosi registi a venire, non ultimo Quentin Tarantino per il suo Kill Bill – Volume 1 (2003). Calati in una dimensione semi-metafisica, fra scenografie stilizzate, dinamiche paradossali e surreali geometrie di luci e colori, i personaggi si rivelano semplici pedine al servizio di una performance pop audace e nichilista.

Recensione da LongTake