L’AMANTE DEL VAMPIRO

Un gruppo di ballerine prova il prossimo spettacolo nei pressi di un castello infestato dai vampiri.  Che prontamente non si lasciano sfuggire la ghiotta occasione.

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Titolo originale: L’Amante del Vampiro
Anno: 1960 I Paese: Italia
Regia: Renato Polselli
Attori: Hélène RémyTina GlorianiWalter Brandi 
 

Non sono mai stato un cultore del cinema di Renato Polselli: troppo pazzoide, anarchico, indecifrabile in quello strano miscuglio di genio e sregolatezza, di miserabilità e dialoghi altisonanti, di non sense folle e sciagurato. Ho visto, ai tempi dei miei capelli lunghi, neri e selvaggi, La verità secondo SatanaRiti, magie nere e segrete orge nel trecentoIl mostro dell’opera e Delirio caldo, poi stop perché non mi divertivo, mi annoiavo e preferivo riguardarmi un Fulcisgranato in vhs piuttosto di una tizia, vestita da ballerina, che, cadendo da un muretto, affermava “Incontro sempre qualcosa di duro nella mia vita“.

Quindi, dopo 20 anni e passa di non Polselli, ieri ho preso il mio impolverato hard disk e, tra i miliardi di titoli che il Dio emule mi ha concesso, ho iniziato L’amante del vampiro con il dito sul telecomando, pronto a spegnere alla prima scemenza.

Il film invece, malgrado le premesse, l’ho visto tutto e mi è pure piaciuto un botto. Forse perché è meno Polselli dei successivi (già Il mostro dell’opera, di soli 4 anni dopo, è denso di dialoghi assurdi e scene kitsch), forse perché al regista riesce davvero bene una strana dimensione di Hammer da imitazione o forse perché di vampiri classici, fatti bene, in Italia non ne abbiamo mai avuti davvero. In questo Polselli è migliore dei vari Roberto Mauri e Piero Regnoliche, per neanche un decennio, provarono a portare nel nostro Paese i canini succhiasangue del conte Christopher Lee. Migliore non perché i suoi colleghi abbiano girato film pedestri, ma perché L’amante del vampiro (uscito negli States come The vampire and the ballerina) ha quel fascino in più che ti inganna e ti fa credere che Roma sia la brughiera inglese.

Certo non mancano tocchi polselliani come la bara con sopra degli osceni teschi che sembrano presi da Moreno dove tutto costa meno o dei candelabri così incredibili da non crederci, braccia che sorreggono delle torce. Però si sorvola come lo si fa con i dialoghi altisonanti che diventeranno pochi anni dopo marchio DOC del regista, frasi terribili, ai limiti dello scioglilingua, come ” Io sono prigioniera di un pazzo che ha una passione per la sua pazzia“.

Polselli cita Carl Theodor Dreyer in una lunghissima sequenza che vede una povera ragazza risvegliarsi all’interno di una bara, in procinto di essere sepolta viva e incapace di gridare: una scena dal grandissimo impatto non tradita da un film piena di sorprese narrative e visive. La figura del vampiro, anzi dei vampiri, non è banale: creature disperate in cerca non solo di sangue ma di amore, una passione che li porta a mietere vittime, a cannibalizzarsi e ad odiarsi davanti al loro vero aspetto di cadaveri mummificati. Walter Brandi, il nostro Christopher Lee, interpreta qui un mostro legato da un rapporto sadomaso con una bella contessa dalla doppia natura, vittima e carnefice.

Tra le molte scene riuscite c’è senza dubbio quella shockante che vede il vampiro impalare una vampira urlandole “Questo è il mio mondo non il tuo!“. Non credo di avere mai visto, in vita mia, un simile ribaltone, almeno all’epoca, dove un mostro uccide un suo simile usando gli stessi strumenti di morte dei suoi antagonisti. Lo stesso si può dire dell’audacia del regista nel sporcare quello che sulla carta è l’eroe senza macchia, mostrandolo come un dongiovanni pronto a tradire la sua fidanzata, anche a costo di farsi km a piedi per una probabile scopata.

Sul versante attori siamo anche qui, a parte un insipido Gino Turini, su alti livelli con un efficace protagonista, Isarco Ravaioli, e un bel cast di attrici giovani, affascinanti e brave, a partire dalla francese Hélène Rémy. Anche se la donna che resta più nella memoria è Maria Luisa Rolando dallo stacco di cosce quasi chilometrico e con un décolleté imperiale che negli anni 70 sarebbe sgusciato via generoso.

La sceneggiatura di Ernesto Gastaldi è efficace, persino originale in un tema già allora abusato come il vampirismo, ma è anche piena ovviamente di buchi di trama, nulla di trascendentale però in un film d’imitazione inglese che si lascia seguire senza mai annoiare.

A fare la parte del leone però è la magnifica fotografia in bianco e nero di Angelo Baistrocchi resa ancora più suggestiva dalle musiche molto d’atmosfera di Aldo Piga. Anche le scenografie di Amedeo Mellone fanno la loro porca figura in una Lazio, come detto, che assomiglia tantissimo all’Inghilterra della Hammer.

Come non citare poi i momenti musicali dove le ballerine protagoniste si lanciano in danze che all’epoca dovevano essere abbastanza hot: un bel vedere anche a distanza di 60 anni e passa.

Da recuperare e, visto che il dvd costa appena 5 e 99 su amazon, da comprare ad occhi chiusi.

Recensione di Andrea Lanza [Malastrana VHS]

Grazie a: Shaunna Jessup