EVIL DEAD TRAP 2: HIDEKI

Aki Ôtani (Utako Nakajima) è una giovane donna obesa chiusa in un mondo asociale dove i contatti con gli altri si limitano a una cerchia ristrettissima di persone. Una di queste è Emi Kageyama (Rie Kondoh), una reporter d’ assalto molto disinibita che organizza un incontro galante tra Aki e Kurahash (Shirô Sano), un uomo sposato ma dall’ aria libertina. Da quel momento in poi la vita di Aki si trasformerà progressivamente in un vortice di follia, tra omicidi efferati commessi dalla stessa, visioni di un certo bambino chiamato Hideki, e tentativi di associarsi ad una misteriosa setta.

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Sottotitoli a cura di battleroyale

[la visione è riservata ad un pubblico adulto]

Titolo originale: Shiryô no wana 2: Hideki
Anno: 1992 I Paese: Giappone
Regia: Izô Hashimoto
Attori: Shoko NakajimaRie KondohShirô Sano 
 

Partiamo subito col precisare che il film sottoposto a recensione in questo articolo non ha nessuna connessione logica con il primo capitolo della trilogia chiamata Evil Dead Trap. Il film precedente infatti parlava di una morbosa reporter che si introduceva in un edificio abbandonato e ne pagava le conseguenze. L’ unico link che si può trovare tra Evil Dead Trap e questo film è la presenza di una spregiudicata reporter, tutto qui. La pellicola originalmente si chiama appunto Hideki, nome del bambino / visione (che può assomigliare molto al bambino di Ju-On) che appare di tanto in tanto di cui non coglieremo mai la natura in modo esplicito.Evil Dead Trap 2 è un film fatto per angosciare, sia narrativamente che graficamente. Abbiamo una protagonista talmente problematica che sfiora la soglia del mutismo e soprattutto abbiamo questo ricorrente tema dei bambini, bambini mai nati, scomparsi, morti, senza mai vedere, durante l’ intero minutaggio, un bambino vero e proprio di cui siamo certi della propria esistenza. Anche la sessualità è evocata spesso e volentieri come elemento di disagio e angoscia e il link tra sessualità e splatter sanguinolento in questo film è molto diretto e simbolico e inizia con uteri asportati da corpi mutilati. Abbiamo a che fare, in sintesi con un film visionario, pieno di personaggi disagianti e disagiati, sudici e spregiudicati come nelle loro azioni. Uno splatter raffinato, che non è basato sulla ricerca dell’ elemento “viscera strappata” ma che non disdegna picchi di gore esplicito raramente visti in altri film come una auto-mutilazione del braccio. La raffinatezza oltre che nell’ apoteosi nella follia nell’ intera parte finale, sta anche in uno sviluppo grafico che ricorda il cinema più colorato di Seijun Suzuki e l’ immancabile Shin’ya Tsukamoto al quale va il merito di aver inscenato il duello over-the-top alla fine del suo Tetsuo: Iron Man, a cui probabilmente questo film si ispira sempre nel combattimento finale. Non è cosa da far passare in secondo piano, il fatto che il regista Izô Hashimoto sia colui che si occupò di trascrivere in sceneggiatura cinematografica quello che negli anni è diventato l’ anime per eccellenza, il mito incontrastato, il capolavoro chiamato Akira

Scritto da Il Guardiano dello Zoo