LE TOMBE DEI RESUSCITATI CIECHI

Alcuni templari sepolti in un cimitero a mezzanotte saltano fuori dalle loro tombe e uccidono chi si trova nelle vicinanze. Questa sorte tocca prima a una ragazza, poi ai suoi soccorritori. Una donna riesce a fuggire, ma viene inseguita fra i passeggeri di un treno, che vengono uccisi dai resuscitati ciechi.

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Titolo originale: La noche del terror ciego
Anno: 1972 I Paese: Spagna
Regia: Amando de Ossorio
Attori:  Lone FlemingCésar BurnerMaría Elena Arpón
 

Avere l’occasione di rivedere Le tombe dei resuscitati ciechi a quasi cinquant’anni dalla sua realizzazione permette di analizzare e approfondire una questione poco trattata nel panorama critico contemporaneo. Amando de Ossorio, con la sua tetralogia (ma anche con titoli come La noche de los brujos e L’eretica), non fu solo uno dei precursori del cinema fantastico spagnolo, ma segnalò con forza un elemento di rottura con la dittatura fascista. In modo anche non volontario, probabilmente. Quando il primo capitolo dei quattro che compongono le avventure mortifere dei resuscitati ciechi esce nelle sale, il 10 aprile del 1972 – ed è interessante notare come ciò avvenga la settimana dopo i festeggiamenti della Pasqua di quell’anno, quasi a voler sottolineare con enfasi blasfema un’altra resurrezione, ancor più potente e totale di quella adorata dai cristiani –, Francisco Franco è ancora al potere. La Spagna sta vivendo gli ultimi anni del boom economico che terminerà più o meno fisiologicamente con la morte del dittatore fascista. Il cinema spagnolo, cui era impedito dal regime di confrontarsi con le forme del fantastico, inizia a cercare condotti d’aria nei quali esprimersi liberamente. Insieme a de Ossorio escono dalle loro tombeartistiche Jess Franco, Vicente Aranda, Jorge Grau, Eloy de la Iglesia, l’attore-regista Paul Naschy e molti altri; tutti lì a reclamare il diritto all’immaginario, e alle sue “distorsioni” fantastiche.

Non si può negare che Le tombe dei resuscitati ciechi mostri in pieno i suoi anni. Il suo ritmo compassato, lo stesso al quale si agitano i templari senza occhi che tornano dalla morte, potrebbe lasciare di sasso molti spettatori giovani, abituati a un montaggio più serrato, a un uso più spregiudicato delle inquadrature, a una maggiore velocità dell’azione. Eppure proprio nell’immobilismo dei mostri inventati da de Ossorio, sicuramente debitori dell’esperienza di George A. Romero (ma anche vittime del fascino dell’espressionismo e delle avanguardie storiche), e ancor più nel monolitico approccio al genere, continua a resistere questo oscuro oggetto dell’orrore. Fin dal suo incipit, nel quale viene mostrato il villaggio diroccato nel cui cimitero i templari scheletrici tornano alla (non) vita, Le tombe dei resuscitati ciechi mette in scena una Spagna già morta, distrutta, priva di speranza. Nei quattro titoli che compongono la saga horror non esisterà mai una reale via di fuga da questi terrificanti detriti del passato. E non è certo un caso che si tratti di templari, simbolo per secoli di una Spagna monarchica e “cristiana”, pronta a distruggere intere civiltà in nome della croce e dello stemma reale.

Questa lunga serie di suggestioni fa passare in secondo piano – e anche oltre – l’assurdità di una sceneggiatura in cui nulla o quasi sembra avere un reale senso. Non è credibile la scenata di gelosia di Virginia nei confronti dell’amica di un tempo Betty; è ai limiti dell’impossibile la sua fuga dal treno e ancor di più il fatto che si rifugi a trascorrere la notte in un villaggio così spettrale da non attrarre visitatori neanche di giorno; supera perfino i limiti della fantasia il fatto che riesca seppur in maniera temporanea a saltare sui cavalli dei demoniaci esseri, che pure dovrebbero essere ultraterreni a loro volta. Di incoerenza in incoerenza lo script conduce lo spettatore in una zona liminare, un limbo in cui ogni aberrazione logica può e forse deve essere accettata. Quel che conta è il mood, la capacità di suggestione di un racconto che fa irrompere l’orrore in una nazione che lo sta vivendo sulla propria pelle ma che ne è stato privato della visione. E in questo senso Amando de Ossorio è stato un cantore sincero e intelligente, forse privo di eleganza ma non certo di forza espressiva.

Scritto da Raffaele Meale [Quinlan.it]