PRANZO MISTERIOSO

 

America 1950: in una zona periferica residenziale che ricorda molto il contesto di “American Beauty”, il giovane Michael Laemle scopre che i genitori amano sempre più la carne. Mangiano solo quella. E la preferiscono umana, se è possibile. Michael ne parla con lo psicologo della sua scuola, che naturalmente lo prende per matto. Poi decide di vederci chiaro: quella famiglia così normale è davvero di cannibali?

 

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Titolo originale: Parents
Anno: 1989 I Paese: U.S.A.
Regia:  Bob Balaban
Attori: Randy QuaidMary Beth HurtSandy Dennis

 

 

Ambientato nell’America anni ’50, il film parla della storia di un bambino, Michael, che, dopo essersi trasferito nel Massacchussets, dovrà iniziare una “nuova vita”, trovare nuovi amici e soprattutto convivere con le stranissime abitudini alimentari dei genitori, che sembrano gradire solamente carne umana per i loro pranzi e cene.
L’avere due genitori cannibali e malati (in una scena vengono inquadrati fare sesso coperti di sangue delle loro vittime) lo porta a chiudersi in se stesso e a vivere in una realtà isolata, fatta di incubi notturni, ossessioni, pensieri ricorrenti. Il colore che sempre ritorna è il rosso: rosso il sangue, rossi gli incubi notturni, rosso il colore che usa nei suoi disegnini scolastici.
Michael riesce a fare amicizia con una ragazza, Sheila, che dice di provenire dalla luna e di non avere genitori, salvo poi scoprirsi una mitomane alla ricerca di attenzione, poco seguita anche lei dai genitori ubriaconi e irresponsabili. Sheila porterà Michael ad aprirsi sempre di più e a scoprire cose nuove, determinanti per lo sviluppo della vicenda, mentre un’altra figura (quella della psicologia della scuola), ricercatrice nervosa e fumatrice, cercherà di scoprire che cosa si cela nel dramma interiore del bambino e nel suo struggente silenzio. Come si può notare entrambe le figure vedono nel bambino un “alter ego” poiché anche loro cercano di evadere da una vita, o meglio da una società, della quale rifiutano i valori.
Intanto il papà di Michael, sempre più preoccupato del fatto che il figlio non mangi niente, decide di spiarlo e capire così il perché di molti suoi atteggiamenti a tavola, salvo poi scoprire la sua natura traditrice e il suo odio profondo, accompagnato da un graduale desiderio di “fuggire” dall’ambiente familiare.

Parents” è firmato dal regista Bob Balaban, la cui carriera è caratterizzata soprattutto da comparse in sit-com americane (come “Seinfeld“) mentre la sceneggiatura è affidata al meno conosciuto Christopher Hawthorne.
E’ difficile far rientrare “Parents” in un genere definito, forse perché oggi di film come questo se ne realizzano pochi mentre un tempo, negli anni ’80, erano piuttosto frequenti. Qualcuno lo considera un “surrealist horror”, qualcun altro una “commedy horror” ed altri ancora un horror puro e semplice (visto che tratta del tema del cannibalismo). Ad ogni modo non manca mai la vena ironica e l’elemento horror non è mai portato ad alti livelli ma sempre abbozzato superficialmente. Così la famiglia non ci apparirà come una crazy family alla “Non aprite quella porta“, perché Balaban voleva dipingere un quadro familiare grottesco, paragonabile alla famiglia Addams. E non solo. Voleva anche proporre una denuncia sociale alla middle class americana anni ’80 mettendone in luce gli aspetti più contraddittori e ipocriti come il voler “apparire” e non il voler “essere” (da qui la necessità di nascondere il vero “essere” agli altri, ricorrendo al giochetto dell’invisibilità).

Le critiche a questo film sono state tante e non si riferiscono allo stile amatoriale della regia, che è pure comprensibile considerando il low budget (pari a $870,532 negli U.S.A), ma alla sceneggiatura, che (come vedremo) risulta piena di buchi, oppure ai toni usati (quelli di satira sociale).
Oltre ai vari “dialoghi” che in certi frangenti rasentano il ridicolo (la mamma che attribuisce la colpa degli incubi del figlio al suo spogliarsi e levarsi il pigiama durante la notte), alcuni elementi narrativi sono stati completamente tralasciati, ad esempio la figura di Sheila scompare nei 30 minuti finali senza che lo spettatore sappia cosa le sia successo; senza parlare poi del finale, che “rimescola” le carte e gioca sull’effetto sorpresa, risultando però incoerente e superficialmente abbozzato.

Ma passiamo ai lati positivi, considerando che una parte della critica ha raccomandato questa pellicola, apprezzandone lo stile molto derivativo e citazionistico (frequenti sono i richiami a “Shining” per quanto concerne il rapporto padre-figlio, e non mancano pure atmosfere tipicamente lynciane).C’è una scena in particolare, quella dell’armadio, che ricorda moltissimo Carpenter e il suo film-gioiello “Halloween la notte delle streghe“, realizzato anni prima con un clamoroso successo al botteghino. In generale è osservabile la volontà di creare una black comedy facendo un collage di vari elementi dei film horror-cult. C’è da dire infatti che l’intento registico è fortunatamente riuscito, in quanto i toni aspri e cupi di una commedia che non si vuole (dall’inizio) far prendere troppo sul serio sono resi benissimo dalla colonna oppure dall’effetto straniante che comunicano alcune atmosfere, caratterizzate da un’alternanza cromatica spettacolare (il rosso sanguigno e il nero buio si muovono come delle costanti).
Da notare poi come, accanto alla crescita di Michael, cresce anche un mondo interiore, fatto di incertezze e sospetti alimentati dall’assenza dei genitori e da una routine quotidiana alla quale certamente non era abituato, il tutto inserito in un ambiente sub-urbano di periferia.

Nel complesso una pellicola anni ’80 che riesce nel suo intento di black commedy e che si rivela piacevole ad un primo impatto – nonostante lo stile datato – ma che purtroppo sfiora il successo senza mai toccarlo, a causa di una sceneggiatura raffazzonata ed un budget infimo.

Recensione da Filmscoop