DEMONI 3

 

A Rio per studiare le cultura locale, tre ragazzi assistono a una cerimonia di magia nera. Poi uno dei tre ha l’infelice idea di provarci in proprio, evocando gli spiriti vendicativi di sei schiavi uccisi dai loro padroni.

 

 

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Titolo originale: Demoni 3
Anno: 1991 I Paese: Italia
Regia: Umberto Lenzi
Attori:  Keith Van HovenJoe BaloghSonia Curtis 
 

 

 

Se l’idea di base fosse bastevole a giustificare il suo “status” di sequel, allora per fare parte della saga di Demoni i cui primi due capitoli sono stati diretti da Lamberto Bava, basterebbe buttare dentro al copione un paio di zombi ciondolanti e qualche vago e superficiale riferimento alla magia e all’esoterismo, come del resto fa Umberto Lenzi in questo sequel apocrifo spacciato per il numero tre ma che, nella realtà, non c’entra un beneamato cazzo di niente con le pellicole prodotte da Dario Argento. In effetti gli elementi inseriti in questo film sono poi gli stessi utilizzati in decine di altre pellicole del Bis Italiano come Zombi 2 o Le notti del Terrore, titolo al quale il film di Lenzi sembra riferirsi sopra ogni cosa. Come nel film di Andrea Bianchi, l’assedio di morti viventi ad una vecchia villa in disfacimento è in effetti il leit motiv principale, anche se qui siamo in Brasile e quindi si ha a che fare con la Macumba, viene citato anche il Vudù nonostante sia decisamente fuori zona. I protagonisti sono tre turisti, l’inglese Kevin, la fidanzata Jessica con il fratello Dick, impegnati a studiare la storia dei balli locali. Ad un certo punto Dick si stufa della Samba e inizia a cercare nelle favelas tracce di riti magici, trovandole prima in un gruppo di bambini mascherati e poi in un vecchio santone cieco che gli da appuntamento per un festino magico notturno durante il quale uno spirito si impossessa del giovane yankee.
Il giorno dopo i tre partono per le campagne brasiliane e finiscono nella fazenda del giovane Josè dove nottetempo Dick risveglia i 6 cadaveri di schiavi neri uccisi barbaramente dai loro padroni ed ora in cerca di sangue bianco per soddisfare la loro sete di vendetta. Insomma una storia che, visti i tempi recenti, potrebbe essere ancora attualissima (anzi io ci farei un remake magari) dove la minaccia è rappresentata dal “nero”, dal “diverso” che vuole uccidere il bovero uomo biango! Un po’ come succedeva negli anni ’50 dove si identificava l’invasione aliena con la minaccia dell’Unione Sovietica. Pur contrassegnato da un budget esiguo, il film è stato girato direttamente in Brasile con un cast internazionale, minimo e professionalmente inconsistente. Su tutti capeggia il volto stralunato e demenziale di Maria Alves che interpreta la domestica Maria, impegnata grottescamente a scacciare il male con bamboline di paglia e candele nere, verrà accecata crudelmente, gli spaccano la testa con un’accetta e la impiccano. Tutto questo dimenticandosi che la vendetta doveva riferirsi a 6 dico 6 uomini di pelle bianca! Gli zombi neri, truccati con cerone, catene, stracci e salamella putrefatta sul volto, si muovono con una lentezza disarmante.
La cinepresa li riprende immobili in ogni angolo, nascosti e immobili ad osservare le prede, incalzati dal rumore di catene che strisciano sul terreno. L’eroico Kevin (interpretato dal sorriso cavallone di Keith Van Hoven, attore olandese conosciuto per la sua partecipazione al serial TV College) li combatte a colpi di molotov, peccato che non avendone abbastanza, o forse per fare prima, scaglia una bottiglia ad ogni coppia di mostri con esplosioni che manco ci fosse dentro del napalm al posto della benzina. Non parliamo poi di situazioni al limite del ridicolo, come ad esempio la fuga dalla fazenda in jeep dove, per simulare il classico incidente che rende critica la situazione, vediamo proprio il guidatore che sterza all’improvviso per lanciarsi contro un albero. Non contento cerca di far ripartire l’auto, infossata nella buca senza riflettere che, forse facendo scendere gli altri passeggeri magari si riesce a risolvere il problema. Troppa logica per un B Movie italiano che sfrutta un dittico di successo come pallido tentativo di esalare l’ultimo respiro ad un genere, che nei primi anni novanta, stava decisamente tirando le cuoia.
Recensione da ODORAMA EXPLOITATION MOVIES