LE PORTE DELL’ INFERNO

Nel corso di una spedizione alcuni speleologi scoprono una realtà terrificante nascosta nelle viscere della terra,

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Titolo originale: Le Porte Dell’Inferno
Anno: 1989 I Paese: Italia.
Regia: Umberto Lenzi
Attori: Barbara CupistiPietro GenuardiLorenzo Maj
 

 

Purtroppo inizia il declino creativo di Lenzi. Girato nei dintorni di Roma con un budget risicatissimo, questo film è pieno di lacune, che nemmeno la presenza di un’affermata attrice come la Cupisti ed un veterano del cinema come Rossi Stuart riescono a salvare dalla mediocrità. I bug si sprecano, a cominciare dalla sceneggiatura scritta dallo stesso regista e firmata nei credits dalla moglie (Olga Pehar). La storia si dipana tra i cunicoli e le grotte sotterranee, dove gli attori interpretano gran parte del film; tutto questo dà un senso di claustrofobia, che non sarebbe neppure un difetto se non subentrasse la noia ad accompagnare lo svolgersi della storia.La scontatezza dei dialoghi, che rasentano il ridicolo, appesantiscono ulteriormente i tempi scanditi dal film. Nella scena in cui uno dei protagonisti viene assalito da un’orda di ragni velenosi, occorrono circa quattro minuti perché questi simpatici animali ad otto zampe riescano a compiere il loro dovere di armi mortali; un’agonia visiva degna del peggior serial per la tv! Alcune riprese della telecamera risultano a volte senza senso, con angolazioni sbagliate, come se Lenzi cercasse qualche escamotage tecnico che renda la pellicola più variegata. Pure il finale lascia con l’amaro in bocca, ripreso in un certo senso da un altro titolo di Lenzi (Incubo Sulla Città Contaminata). Gli effetti speciali sono piuttosto ordinari ed il sangue viene mostrato con avarizia, anche se un paio di scene gore si salvano utilizzando tutto il mestiere del regista toscano. Adatto solo per gli appassionati dell’horror italiano. TOP GORErnCito le uniche scene presenti nel film: una donna con cranio sfondato da una mannaia ed un uomo trafitto ad un occhio da uno spuntone di ferro che scende dal soffitto.

Recensione da Splattercontainer