DESTINATION – IL LEGGERO FRUSCIO DELLA FOLLIA

La coppia protagonista (Bob Belling e Jane Ryall) arriva nella suggestiva isola greca di Mikonos e s’installa in una piccola pensione del luogo. Non sembrerebbe esserci nulla di strano nel comportamento dei due americani: giovani, innamorati… Poi però lui una mattina, vistosi rifiutare sessualmente da lei, scende in giardino e si accoppia con una pecora che passa di lì (!); ma è solo l’inizio di una serie di perversioni e cattiverie che porteranno i due a crocefiggere in terra un imbianchino e a costringerlo a bere intonaco fresco (dopo che lei ci si era lungamente accoppiata con lui a fotografarli da distante); continueranno impiccando, da un aereo in volo, un detective prendendo a mannaiate la padrona della pensione, stroncando a colpi di fiocina due bulletti che tentavano di violentare lei, ustionando e uccidendo a più non posso chi capita a tiro: un vero e proprio massacro che nessuno sembra poter fermare. 

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Lingua:  sub
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Titolo originale: Ta Paidia Tou Diavolou
Anno: 1976 I Paese: Grecia
Regia: Nico Mastorakis
Attori: Bob BehlingJane LyleJessica Dublin |
 
 

Interessante horror greco pieno zeppo di sesso e violenza, condannato dalla censura inglese (al solito, insomma) e finito nella lista dei video nasties. “Island of death” (distribuito in Italia con il titolo “Destination- Il leggero fruscio della follia”) dimostra da subito di voler essere oltraggioso, ma anche grottesco, vuole scioccare e ci riesce, per di più con crudele originalità, ma allo stesso tempo riesce ad ammaliare lo sguardo grazie ai bei colori delle scenografie (le case e le stradine di Mykonos) e a molte belle inquadrature.
Assistiamo alle gesta di Cristopher e Celia, una coppia inglese (il cui vero legame verrà rivelato solo nel finale) in vacanza sull’isola greca di Mykonos. Cristopher è ossessionato dalla perversione dell’essere umano e uccide, con l’aiuto di Celia, chiunque ritenga essere depravato perchè non conforme ai canoni della sessualità imposti dalla società perbenista e cattolica.
Dopo alcuni omicidi compiuti sull’isola, Celia sembra voler far desistere Cristopher dalle sue pratiche malsane, ha persino un incubo in cui un uomo dall’aspetto rozzo e trasandato riserva loro gli stessi trattamenti che generalmente subiscono poveri innocenti accusati da Cristopher di perversione.
Quando la polizia è ormai sulle tracce dei due assassini, questi fuggono nelle campagne, dove troveranno rifugio da un pastore che assomiglia all’uomo che Celia ha visto in sogno…
Nonostante l’andamento del film a tratti possa risultare lento, a causa della semplicità della sceneggiatura (in special modo nella parte centrale), la pellicola mantiene comunque un’atmosfera morbosa (ma allo stesso tempo elegante), a tratti inquietante e disturbante.
Cristopher vuole punire la perversione, ma è egli stesso un pervertito, e le perversioni che pretende di punire non sono altro che lo specchio delle sue aberrazioni sessuali.
Inoltre Cristopher è un voyeur, ma il suo voyeurismo è paragonabile al voyeurismo dello spettatore, che assiste all’esibizione delle atrocità in maniera masochista, ossia tra il raccapriccio e il piacere. Il gusto del proibito è sempre attraente. E Mastorakis utilizza il proibito per giocare con i limiti di sopportazione dello spettatore: incesto, zoofilia, stupri, pissing, droga, torture, uccisioni brutali (e sorprendentemente originali). Un campionario di cattivo gusto e di pugni allo stomaco selezionati appositamente per stuzzicare i nervi di chi osserva.
La sessualità ha un ruolo fondamentale, ma la sua rappresentazione, spesso in maniera perversa, ha fatto sì che l’opera, in molte versioni home video, abbia subito tagli nelle scene di stupri, addirittura omettendo sequenze come il pissing o lo stupro subito da Cristopher (d’altronde, se già la rappresentazione del sesso al cinema è sempre materiale scabroso, figuriamoci la sua forma più estrema, violenta e disturbante, lo stupro, soprattutto quello anale e omosessuale!).
Ma “Island of death” non è solo una mostra di efferatezze e perversioni. Come già detto, l’opera di Mastorakis sorprende per la meravigliosa scenografia naturale, completamente in contrasto con gli orrori mostrati, e può vantare una buona regia, ricca di inquadrature poetiche e dai colori affascinanti.
Assolutamente convincenti le prove degli attori, soprattutto quelle dei due attori protagonisti, Robert Behling e Jane Lyle, entrambi perfettamente calati nei loro ruoli.
Molto belle anche le musiche, soprattutto la ballata iniziale, “Do you love me?” (fidatevi, ci vorrà un po’ per togliervela dalla testa).
Nonostante qualche caduta di ritmo nella parte centrale, il film si lascia seguire tranquillamente fino all’ultra-cinico e beffardo finale.
Un film che gli amanti dell’estremo dovrebbero vedere almeno una volta nella vita (ovviamente in versione uncut). Un’ottima testimonianza dell’ exploitation anni settanta, da riscoprire!

Recensione da Interzona