A LAMB IN DESPAIR [sub ENG]

 

Un uomo che da bambino ha subito abusi da parte di sua madre diventa un serial killer. Rapisce numerose donne, le tortura, le malmena e alla fine le uccide.

 

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Titolo originale: Yan yuk wan gui
Anno: 1999 I Paese: Hong Kong
Regia: Siu-Hung Leung
Attori:  Anthony Chau-Sang WongSherming YiuTung Cho ‘Joe’ Cheung

 

 

Dopo aver vissuto ad Hong Kong un’infanzia infelice, con una madre che lo maltrattava ed un padre quasi completamente assente, Ted Wu (Miu Fung-Yiu) si trasferisce negli Stati Uniti dove commette brutali omicidi, di cui la polizia non trova le prove. Tornato in patria, braccato da stampa, giustizia e vecchi ricordi, la sua schizofrenia assassina si manifesta nuovamente.

A Lamb In Despair si inserisce perfettamente nella sottogenere dei Cat. III socialmente impegnati: ma se la stragrande maggioranza di queste pellicole affronta solo marginalmente i problemi di attualità che coinvolgono l’ex colonia, magari come scintilla per far scoppiare l’incendio di brutalità e violenza a cui il genere ci ha abituato, il film di Tony Leung Hung-Wah (alla terza prova come regista, ma per la prima volta in questa veste alle prese con un film “vietato ai minori”) sembra puntarvi quasi tutte le sue carte: i maltrattamenti e le percosse da parte dei familiari e il conseguente sdoppiamento di personalità, sono il perno centrale del film e dei continui flashback che interrompono la narrazione al presente. La reiterazione dei parallelismi tra situazione attuale e infanzia infelice sono però fin troppo dogmatici e banali e contribuiscono ad affossare un film che non può contare su un impianto tecnico che lo sostenga: una regia piatta ed invisibile, scenografie povere e personaggi incoerenti (il comportamento del padre), stereotipati (il giornalista d’assalto impersonato da Anthony Wong) ed impalpabili (le due figure femminili, l’assistente sociale e l’ex ragazza, sono nient’altro che belle statuine) non sono solide basi su cui poggiare una pellicola che ha evidenti, quanto disattese, pretese di denuncia sociale.

La riflessione sull’uomo come prodotto dell’ambiente in cui vive, la sua parziale assoluzione e trasformazione da carnefice a vittima, naufraga a causa della pochezza produttiva, della mancanza di mezzi ed idee.

Miu Fung-Yiu, il protagonista, rimane l’unica flebile luce in tanto buio: un gigante dallo sguardo vacuo che riesce a mettere in ombra anche Anthony Wong, una volta tanto non così istrionico. Peccato che il cinema di Hong Kong l’abbia poi completamente ignorato.

Recensione da Asianfeast.org