ENTITY

 

Carla Moran (Barbara Hershey) è una giovane donna madre di tre figli. Una sera, al rientro da lavoro, Carla viene immobilizzata sul letto e stuprata da una entità invisibile. Alla violenza segue una serie di incidenti ed esplosioni in casa, che costringono la donna a rivolgersi ad uno psichiatra, il dr. Phil Sneiderman, ma non viene creduta ed anzi viene quasi convinta del fatto di essersi immaginata tutto. Tuttavia, nei giorni successivi le violenze e gli abusi fisici che l’entità invisibile perpetra nei confronti di Carla si moltiplicano, ed avvengono anche in presenza dei figli.

 

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Titolo originale: The Entity
Anno: 1982 I Paese: U.S.A.
Regia: Sidney J. Furie
Attori: Barbara HersheyRon SilverDavid Labiosa 
 

 

Di The Entity mi ha sempre sbalordito la breve sequenza dei titoli di testa. Sono pochi minuti in cui ci vengono fornite tutte le informazioni di cui abbiamo bisogno per conoscere Carla, la protagonista del film, interpertata da Barbara Hershey. È interessante notare che The Entity dura due ore e sono due ore estremamente dense, che scivolano via come se il film durasse la metà del tempo. E, in queste due ore, non c’è spazio per il set up di ambientazione e personaggi. Niente tediose presentazioni, solo approfondimento. Ci è già stata detta ogni cosa all’inizio.
Altro elemento che dovrebbe far riflettere è quanto poco sia tagliato il film. Furie usa quasi sempre riprese lunghe, con la macchina da presa fissa se si tratta di dialoghi, o con delle splendide panoramiche quando invece si passa all’azione. Il ritmo di The Entity è dato quasi tutto dalla recitazione e dal modo in cui Furie muove la camera nei (pochi) ambienti in cui si svolge la storia. È una piccola lezione di cinema, per una ghost story originale e anomala, che affronta la questione poltergeist da un punto di vista molto diverso rispetto al film di Spielberg-Hooper. E con un anno di anticipo, sebbene sfortuna volle che The Entity venisse distribuito qualche tempo dopo Poltergeist. In realtà, Furie lo girò nel 1981, mentre il romanzo di Frank de Felitta da cui è tratto risale addirittura al 1978.

Tratto da una storia vera. Da sempre questa frase ha il potere di portare gente al cinema. Spesso si tratta di panzane o, nel migliore dei casi, di vaghissime ispirazioni. Per The Entity, De Felitta si era documentato su una vicenda abbastanza eclatatante, avvenuta nel 1974. Una donna di nome Doris Bither diceva di essere stata ripetutamente attaccata e violentata da una presenza invisibile. Era stato interpellato un team di parapsicologi, ma nessuno era mai riuscito a ottenere prove evidenti di un’infestazione. Esiste una fotografia, piuttosto famosa, che mostra uno strano arco di luce sopra il letto di Doris. E niente altro.
Il romanzo The Entity diventa un best seller e, per scrivere la sceneggiatura del film, viene chiamato lo stesso De Felitta che, come aveva già fatto per la stesura del libro, non si limita a riprodurre la realtà, ma la manipola e la cambia a suo piacimento.
Né Furie né la Hershey vollero sapere nulla a proposito della storia vera da cui il libro, e di conseguenza il film, avevano preso spunto. Quindi non ci interessa più di tanto stabilire la veridicità degli avvenimenti. Anzi, non ce ne frega proprio niente, perché Carla è un personaggio di fantasia, scritto alla grande da De Felitta, messo in scena meravigliosamente da Furie e interpretato da un’attrice in uno stato di forma unico, capace di mangiarsi il film in un boccone, come se fosse consapevole di avere a disposizione un carattere che mai prima si era visto in un film dell’orrore. E che raramente si sarebbe visto in futuro. Anzi, possiamo addirittura affermare che persino nella cinematografia non di genere una figura femminile come quella di Carla era davvero una sorta di mosca bianca.

Carla è una giovane vedova con tre figli sul groppone che lavora e fa dei corsi serali per diventare dattilografa. È una donna molto indipendente, ha un ottimo rapporto con i suoi figli, ha una situazione economica traballante e una vita sentimentale, presente e passata, complicata. Carla è intelligente, scettica e sempre pronta a mettere in discussione le sue e le altrui certezze.
E, badate bene, non è che diventa così nel corso del film in reazione a ciò che le capita. Il film inizia e lei è già così, ce ne accorgiamo da quei titoli di testa di cui ho parlato all’inizio del post e che ci dicono che siamo di fronte a una persona che difficilmente perderà se stessa, anche se il trovarsi alla prese con eventi orribili e inspiegabili potrà indebolirla e renderla vulnerabile.

DA QUI IN POI QUALCHE SPOILER

Con un personaggio del genere, costruito in poche e significative inquadrature, e con un’attrice di quel calibro e darle voce e corpo, Furie e De Felitta possono risparmiare allo spettatore tutti i facili trucchetti per spaventare a cui siamo abituati. Siamo in pena per Carla e siamo spaventati all’idea che possa accaderle qualcosa di brutto. Il bello è che le vogliamo bene dopo appena due minuti e, quando il primo attacco dell’entità del titolo si verifica, è così brutale, repentino, messo in scena senza alcuna preparazione e avvisaglia, che ci ritroviamo inchiodati al film e, quando l’incubo (non) finisce, sono passate due ore e noi neanche ce ne siamo accorti.

The Entity è un film dall’impostazione radicale non solo per come mette in scena la sua protagonista, ma anche per le conclusioni a cui arriva. Se in molte pellicole che trattano di fantasmi, infestazioni ed esorcismi vari, lo sbocco inevitabile è sempre la vittoria o la sconfitta del male, The Entity prende, al contrario, una posizione ambigua.
L’arco narrativo di Carla è abbastanza tradizionale: dopo le prime manifestazioni dell’entità, la sua reazione è quella di rivolgersi a uno psichiatra, mettendo ovviamente in discussione la propria sanità mentale. Solo quando ogni ipotesi logica va a farsi benedire, perché l’essere che la perseguita non si cura punto dei suoi traumi infantili, del suo rapporto problematico col sesso o dei suoi sensi di colpa, quando, pur di non ammettere l’esistenza di un livello di realtà differente dal nostro, lo psichiatra la accusa addirittura di nutrire dei desideri incestuosi repressi nei confronti del figlio maggiore, Carla si apre all’idea del soprannaturale e chiede aiuto a degli esperti di parapsicologia, non perdendo comunque mai la propria capacità di analisi e giudizio.
Ma il tentativo compiuto dagli studiosi di paranormale di liberarla per sempre dall’entità (che è la parte più debole di un film altrimenti solidissimo) fallisce.
Chi non fallisce è proprio Carla che riesce a guardare in faccia le sue paure e il mostro che le sta scatenando e rivendica la propria indipendenza persino da lui: “Non puoi avermi e non puoi toccarmi”.
L’entità non viene sconfitta e l’ultima sequenza del film è emblematica e potentissima nella sua ambivalenza: Carla entra nel suo appartamento e viene accolta da una porta che sbatte e da una voce: “Bentornata, puttana”.
Non urla e non scappa. Gli volta solo le spalle e va a salutare i suoi figli, anche loro di ritorno a casa dopo aver passato la notte fuori.
È un finale perfetto, perché liberarsi di certi orrori è fuori discussione. Nonostante tanto cinema horror ci mostri il contrario e si basi sul ripristino dello stato di cose precedente al manifestarsi degli eventi soprannaturali (a meno che non sia necessario un sequel, è ovvio), sappiamo in cuor nostro che non è così, che il male non se ne va e, anche se lo facesse, lascerebbe addosso a chi lo ha subito degli strascichi profondi e delle ferite non rimarginabili. E no, non sto più parlando solo di poltergeist e case infestate.
Si può solo scegliere di andare avanti e di conviverci, scegliere di non esserne soverchiati.
Ed è esattamente questa la scelta di Carla.
Scelta identica in tutto e per tutto a quella che avrebbe fatto, più di trent’anni dopo, Amelia, la protagonista di The Babadook, film che ha più di qualche punto in comune con The Entity.

Arriviamo così al decennio difficile, gli anni ’90, che sono sempre un bel palo dove non batte il sole per quanto riguarda la scelta di horror significativi. E sì, sono a conoscenza del fatto che nel 1992 è uscito il Dracula di Coppola, ma non me ne vogliate se scelgo di non inserirlo in lista. Troppo famoso, troppo scontato e “facile”. La serie A non trova molto spesso spazio in questa rubrica e quindi andiamo a scegliere tra tre film un po’ più sommersi e dimenticati.
Partiamo con Split Second, uscito da noi col titolo di Detective Stone. Ormai non se lo ricorda più nessuno, ma vi posso assicurare che varrebbe la pena di recuperarlo dall’oblio in cui è caduto.
Poi ci sarebbe un titolo che sono restia a inserire, ma che mi tocca per forza, perché sono leale: Braindead di Peter Jackson.
Infine, Innocent Blood, sottovalutatissima storia vampiresca di John Landis, che il malvagio consiglio dei titolisti italiani ha magicamente tramutato in Amore all’ultimo morso. Se c’è un Dio, non li perdonerà per questo.

Recensione da Ilgiornodeglizombi